domenica 5 giugno 2011

The Grapes of Wrath

The Grapes of Wrath (it. Furore) di John Steinbeck (2002) Gruppo Editoriale L'Espresso
prima edizione 1939



dalla seconda di copertina:
Capolavoro indiscusso di John Steinbeck, punta di diamante del realismo americano, uscì nel 1939, quando le rapide conquiste del New Deal roosveltiano avevano già neutralizzato quasi tutto l'incubo della Grande Depressione. Anche per questo probabilmente, il suo successo fu enorme e immediato: quell'incubo tornava a risultare dalle pagine del libro in tutta la sua evidenza e drammaticità, ma anche inevitabilmente, coi tratti consolatori dello scampato pericolo. 
Eppure nel romazo di consolatorio c'è ben poco: l'odissea della famiglia Joad, una famiglia di contadini costretta dalla miseria e dalla fame a lasciare l'Oklahoma per raggiungere la lontanissima California alla ricerca angosciosa di un lavoro e di un posto dove vivere, è una vera e propria esplorazione dell'inferno: l'inferno sociale e morale di un'America stremata, in cui pochissimi profittatori accumulavano, sporche fortune grazie allo sfruttamento inumano e violento di masse sempre più grandi di agricoltori e mezzadri ridotti sul lastrico in cui ogni tentativo di ribellione veniva soffocato nel sangue da un potere che la malavita andava velocemente e massicciamente sottraendo agli organi istituzionali.
La sconfitta dei Joad e di Tom, il figlio più consapevole e coraggioso, è una sconfitta senza riscatto, che tuttavia lascia intavedere, nelle forme di spontanea e irriflessa solidarietà capaci di svilupparsi tra le vittime, la traccia ancorché labile di una speranza: esigua, certo, rischiosa e persino patetica; ma comunque ferma a testimoniare, pur dentro l'inferno, una ineliminabile possibilità di bene. 

brano tratto da pagina 39:
E alla fine i rappresentanti venivano al dunque. La mezzadria era un sistema che non funzionava più. Un uomo solo, sulla trattrice, ora sostituisce dodici, quattordici famiglie. Gli si dà un salario e si prende tutto il raccolto. Non c'è scampo. Doloroso, ma è così. Il mostro è malato: qualcosa gli è accaduto.
Ma a furia di cotone la farete morire, la terra.
Lo sappiamo, ma prima che muoia vogliamo tutto il cotone che può darci. Poi la venderemo. C'è un mucchio di famiglie, nell'Est, che non sognano altro che comprare un pezzo di terra.
I mezzadri alzavano gli occhi, pieni di spavento. E noialtri? Come si mangia?
Eh, a voi non resta che andarvene altrove. Viene la trattrice.
Ed ora gli uomini accoccolati si rizzavano in piedi, furenti. Ma questa terra l'ha presa mio nonno agli indiani, rischiando la pelle. E mio padre c'è nato e l'ha lavorata, lottando disperato contro i serpenti e le erbacce. Poi è venuto un anno cattivo e ha dovuto ipotecare. E noialtri siamo tutti nati qui. Ecco là i nostri bambini... anche loro sono nati qui. Anche allora quando mio padre ha fatto l'ipoteca, anche allora il padrone era la banca, ma ci ha lasciati stare e ci spettava un tanto su ogni prodotto.
Tutto questo lo sappiamo, ma non siamo noi, è la banca. Una banca non è mica un uomo. E neanche è un uomo il padrone di cinquantamila acri. Non è altro che il mostro.
Va bene, gridavano i mezzadri, ma la terra è nostra. L'abbiamo misurata noi, dissodata noi. Siamo nati qui, qui ci hanno ucciso, qui siamo morti. Anche se non è buona, è nostra lo stesso. L'esserci nati, l'averla lavorata, l'esserci morti la fa nostra. Questo ce ne da il possesso, non una carta con dei numeri sopra.
È doloroso, ma noi non c'entriamo. È il mostro. La banca non è un essere umano.

libro non disponibile avuto in prestito da Biblioteca Cesare Pavese di Casalecchio di Reno 
per info, precisazioni o richieste: irtondo@hotmail.com
contatti biblioteca: 051/598300 - biblioteca@comune.casalecchio.bo.it

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