mercoledì 29 agosto 2012

Die Flucht ohne Ende

Die Flucht ohne Ende (it. Fuga senza fine) di Joseph Roth (2010) Adelphi
prima edizione 1964



dalla premessa:
Nelle pagine seguenti racconterò la storia del mio amico, compagno d'armi e di idee, Franz Tunda.
Seguirò in parte i suoi appunti, in parte quel che mi ha raccontato.
Non ho inventato né aggiustato nulla. Ormai non si tratta più di 'creare'. L'essenziale è ciò che si è osservato.
(Joseph Roth - Parigi marzo 1927)
 
 
brano tratto da pagina 109:
Era il momento in cui i letterati, gli attori, i registi cinematografici, i pittori facevano di nuovo soldi. Era il periodo successivo alla stabilizzazione del marco tedesco, in cui si aprivano nuovi conti in banca, in cui perfino i periodici più radicali recavano inserzioni ben pagate e gli scrittori radicali guadagnavano scrivendo sui supplementi letterari dei giornali borghesi. Il mondo era già consolidato al punto che le terze pagine potevano anche essere rivoluzionarie. Si era così lontani dalla guerra civile che gli scrittori rivoluzionari guardavano ai processi e alle procure della repubblica con un certo divertimento e accoglievano le loro minacce come dei complimenti amichevoli.


libro disponibile
per info, precisazioni o richieste: irtondo@hotmail.com

Full of life

Full of life (it. idem) di John Fante (1998) Fazi Tascabili
prima edizione 1952



dalla seconda di copertina:
"La storia di un uomo e di sua moglie, di come diventano genitori di un bellissimo bambino...", questa, per usare le parole di Fante in una lettera alla madre, l'idea portante di Full of life.
Ma come in tutti i romanzi del grande narratore americano, è molto difficile riassumere in un plot le invenzioni, l'ironia, le meraviglie della sua scrittura: si può solo goderne il divertimento e la forza che la ispirano. Pubblicato nel 1952 e qualche anno dopo adattato per il cinema, è il libro più comico e autobiografico scritto da John Fante, il suo ultimo romanzo prima del lungo silenzio durato oltre venticinque anni.
 
brano tratto da pagina 55:
Mio padre, comunque, era un esperto viaggiatore ferroviario. Aveva fatto la sua esperienza nel 1910, da New York al Colorado, effettuando la traversata in un vagone. E non era stato il suo ultimo viaggio con quel mezzo. Tre anni dopo, da solo, si era imbarcato su un treno a scartamento ridotto da Denver a Boulder, coprendo una distanza di trenta miglia. Successivamente, aveva fatto la gita in luna di miele a Colorado Springs con la mamma. Con una tale esperienza alle spalle, dava mostra di una ammirevole confidenza con la ferrovia. Ora frequentemente, due o tre volte all'anno, saltava su un locale di Sacramento per andare alla capitale dello stato e ritorno. I treni non rappresentavano alcuna fonte d'ansia per quell'uomo.
Il treno per Los Angeles - il West Coaster - partiva da Sacramento alle sei di sera. A colazione decidemmo di prendere quello successivo. Chiesi in prestito la macchina a mio cognato e andai in città per organizzare tutto. Cancellai le prenotazioni dell'aereo e presi dei posti sul West Coaster di quella sera. Il treno era quasi tutto occupato, ma riuscii a trovare delle cuccette per noi sulla carrozza di prima classe.


libro non disponibile avuto in prestito da Biblioteca Comunale di Sasso Marconi
per info, precisazioni o richieste: irtondo@hotmail.com
contatti biblioteca: 051/840872 - biblioteca@sassomarconi.provincia.bologna.it

The Hare with Amber Eyes. A Hidden Inheritance

The Hare with Amber Eyes. A Hidden Inheritance (it. Un'eredità di avorio e ambra) di Edmund deWaal (2012)
Bollati Boringhieri
prima edizione 2010




dalla seconda di copertina:
Un'elegante vetrina nella casa londinese di Edmund deWaal contiene 264 sculture giapponesi di avorio, o legno, non più grandi di una scatola di fiammiferi, raffiguranti divinità, personaggi di ogni tipo, animali, piante. La vetrina è aperta e i piccoli figli di deWaal possono estrarre i netsuke - così si chiamano i minuscoli oggetti - e giocarci. Come facevano, ha scoperto l'autore, i piccoli figli di Viktor e Emmy von Ephrussi, suoi bisnonni, nel boudoir della madre, in un fastoso palazzo viennese della RingStrasse, un secolo fa...

brano tratto da pagina 316:
Per i sopravvissuti, ottenere la restituzione dei beni è impresa ardua, come si evince da un imbarazzato dialogo nel romanzo di Elisabeth, quando il collezionista Kanakis nota "due quadri scuri racchiusi in pesanti cornici, appesi alla parete di fronte alla poltrona su cui è seduto, e un lieve sorriso gli increspa il viso".
"Riconosce davvero quei dipinti?" esclama il nuovo proprietario. "Appartenevano in effetti, a qualcuno che la sua famiglia conosceva di certo, il barone E. Può darsi che li abbia visti nella sua casa. Purtroppo il barone è morto all'estero, in Inghilterra, credo. Gli eredi, dopo aver recuperato quanto possibile, tra i suoi beni, hanno venduto tutto. Immagino che non sapessero che farsene, di roba démodé nelle loro abitazioni moderne. Li ho acquistati all'asta, come la maggior parte dei pezzi che vede in questa stanza. Tutto alla luce del sole e nel rispetto della legge, mi capisce. Gli oggetti di questo periodo sono ormai poco richiesti".
"Non c'è bisogno di scusarsi Herr Doktor" replica Kanakis. "Posso solo farle i miei complimenti per i buoni affari che ha concluso".

libro disponibile
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sabato 11 febbraio 2012

Ask the dust

Ask the dust (it. Chiedi alla polvere) di John Fante (2003) Gruppo Editoriale L'Espresso
prima edizione 1939



dall'introduzione:
Inetto e narcisista, poverissimo e spendaccione, bigotto e inconcludente, Arturo Bandini passa la sua vita di ventenne a Los Angeles, chiuso nella stanza di un alberghetto di infimo ordine dove scrive ostinatamente racconti sognando di diventare un grande scrittore. Ma a un certo punto nell'esistenza di questo bruno americano di genitori italiani fa irruzione un'ancor più bruna americana di genitori messicani, Camilla Lopez, che lo invischia in un disperato e non ricambiato amore. Arturo si dibatte fra mille incertezze e autoflagellazioni, fra repentine gioie e abissali dolori, sempre sostenuto però da un'incrollabile fede nel proprio talento letterario, che gli fa trasformare qualsiasi cosa gli capiti in materia di racconto, e quindi di autoesaltazione.

brano tratto da pagina 33:
Nella cassetta delle lettere trovai una lettera di Hackmuth. Capii subito che era sua. Avrei potuto riconoscerle a un chilometro di distanza, le sue lettere. Mi procuravano sempre delle strane sensazioni e questa volta mi parve che un ghiacciolo mi scivolasse lungo la spina dorsale. La signora Hargraves me la porse e io gliela strappai di mano. «Buone notizie?» mi domandò. Ero molto in arretrato con l'affitto. «Non si può mai dire» le risposi. «Comunque, chi me la scrive è un grand'uomo. Anche se mi mandasse dei fogli bianchi, per me sarebbe ugualmente una buona notizia.» Però sapevo che non poteva esserlo nel senso che intendeva lei, perché non avevo inviato alcun racconto al potente Hackmuth. Questa doveva essere la risposta alla mia lunga lettera di qualche giorno prima. Che tipo sollecito, quell'Hackmuth. Era sorprendente la sua rapidità. Non si faceva in tempo a infilare una lettera nella cassetta della posta, giù all'angolo, che già si riceveva la risposta. Ma, ahimè, le sue lettere erano molto brevi. Gli avevo scritto quaranta pagine e lui mi mandava un biglietto. C'era il pregio che si potevano imparare a memoria. Aveva personalità, quell'Hackmuth, e uno stile tutto suo, e soprattutto aveva tanto da dare che persino le virgole e i due punti trasmettevano un loro messaggio.

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Le malentendu

Le malentendu (it. Il malinteso) di Irène Némirovsky (2010) Adelphi
prima edizione 1926 (su rivista), 1930 (su volume)


dalla nota finale di Olivier Philipponnat:
(...) si apre su uno scenario familiare: lo stesso che fa da sfondo alle ultime vacanze trascorse dalla scrittrice insieme al marito e alle figli a Hendaye, nell'agosto del 1939, proprio in una di quelle "case in finto stile basco" immerse in un "profumo di cannella e di aranci", a due passi dalla spiaggia di "sabbia calda". Si ha quasi l'impressione che di lì a poco, sotto quel "cielo d'agosto", scoppierà come una bomba la notizia del patto di non aggressione tra Russia e Germania, che manderà in fumo tutte le speranze della scrittrice di ottenere finalmente la cittadinanza francese... E come suona strana l'ultima frase dell'amante...

brano tratto da pagina 114/115:
Yves era seduto sul divano di velluto rosso del Perroquet insieme ai Jessaint, alla signora Franchevielle e a una coppia di loro amici inglesi, i Clarkes - lui agile, magro e con i capelli rossi; lei di un biondo cenere tendente al grigio, alta, ossuta, con braccia muscolose e abbronzate da giocatrice di tennis, movimenti bruschi e sgraziati , e una voce stridula da uccello.
Di passaggio a Parigi, e arrivati il giorno prima da Londra, osservavano il Perroquet con l'ingenuo entusiasmo degli stranieri che nella foga della loro ammirazione confondono il Louvre con gli omonimi grandi magazzini, Notre Dame con i locali di Pigalle.
Quella sera il Perroquet era affollato. D'altronde lo spettacolo era piacevole, la sala più grande di quanto nonm lo siano di solito questo genere di posti, con il soffitto alto, spaziosa e ben areata, e le signore - era ancora relativamente presto - si muovevano più o meno a loro agio tra le pareti decorate di pappagallini variopinti.
Sembravano tutte affascinanti quelle signore... ma da lontano, anzi da molto lontano; da vino, invece si rimaneva sbalorditi vedendole così brutte, a parte qualche rara eccezione, così avvizzite sotto il belletto, con i piedi martoriati da scarpe troppo strette, la schiena flaccida, le braccia chiazzate nonostante lo strato di cipria che le ricopriva.


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domenica 29 gennaio 2012

Le donne dei campioni

Le donne dei campioni di Beppe Conti (2008) editoriale Armenia



dalla prefazione:
Donne e campioni, donne speciali, donne che hanno lasciato il segno, donne che hanno scritto pagine importanti e curiose, drammatiche o struggenti, non soltanto nella storia dello sport, ma addirittura in quella del nostro costume.
Sette donne che raccontano anche, forse loro malgrado, la storia del ciclismo in differenti epoche. Sette personaggi davvero unici nel loro genere, per una lettura che si spera risulti piacevole e ricca di aneddoti e di significati.

brano tratto da pagina 32:
Il terzo dei fratelli, invece, Charles Pelissier, aveva quattordici anni in meno di Henri ed era forse il più bello e simpatico, sempre sorridente, capelli lunghi e neri con tanta brillantina, tirati indietro, idolo delle donne non solo in Francia. Lo chiamavano Brummel, per la sua innata eleganza, ed era un grande velocista che duellava in maniera furiosa con Learco Guerra agli arrivi di tappa del Tour de France.
Nel 1930, in un Tour davvero storico, il primo per squadre nazionali, Charles vinse ben otto tappe, le ultime quattro consecutivamente. Un record che avrebbe poi eguagliato Eddy Merckx. E oltre a vincerle, le tappe allo sprint, Charles seppe anche aiutare André Leducq ad aggiudicarsi la corsa francese, orchestrando la caccia a Learco Guerra, leader della nazionale italiana, andato all’attacco sulle Alpi, nella frazione di Evian.
Learco Guerra, muratore mantovano generoso e spettacolare, attaccò il leader Leducq dopo una caduta e una foratura di quest’ultimo. Era la prassi. Semplice ed efficace il motto di quel ciclismo: «La corsa è corsa, pietà l’è morta».
Come dire che valeva tutto, compresi certi colpi proibiti. Le telecamere e le moviole erano ancora lontanissime, non appartenevano a quella vita.
Alfredo Binda, il più grande campione dell’epoca sul finire degli anni Venti, in quel Tour de France s’era già ritirato. E non ci sarebbe più tornato. Non aveva neppure disputato il Giro d’Italia in quell’estate del 1930, il Binda. L’avevano pagato perché stesse a casa, 22.500 lire per non correre, perché altrimenti essendo così forte avrebbe tolto interesse alla manifestazione. Non è mai più accaduto nella storia del Giro d’Italia. Learco Guerra dunque sulle Alpi va all’assalto dei francesi con Vicente Trueba, la mitica Pulce dei Pirenei. E stava per far saltare il banco. Ma aveva pochi amici al fianco, mentre i padroni di casa trovarono una straordinaria unità d’intenti, tirando in ballo la patria, l’amore per la bandiera e via discorrendo. E per ben 75 chilometri diedero la caccia furiosa a Guerra e agli altri. Un gesto che i giornali misero in grande evidenza. Elogiando non solo Leducq ma anche l’abnegazione di un velocista come Charles Pelissier.
Lo chiamavano Charlot, era popolarissimo in quei primi anni Trenta, amico del principe Umberto di Savoia, il futuro re d’Italia, amico di Maurice Chevalier e Tino Rossi, di pittori come Vlaminck e Segonzac, di attrici e cantanti come Mistinguette. Charles aveva una moglie devota che viveva nel culto nel personaggio del marito, a lui fedele per sempre, una sua ammiratrice che per lui si sacrificava giorno e notte, venendo ricambiata.
Si chiamava Madeleine...


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martedì 17 gennaio 2012

Les chiens et les loups

Les chiens et les loups (it. I cani e i lupi) di Irène Némirovsky (2011) Adelphi
prima edizione 1940


dalla terza di copertina:
"Erano in una delle strade più ricche e tranquille della città, costeggiata da ampi giardini. Qui tutto spirava pace. Con ogni probabilità i residenti della zona ignoravano ciò che accadeva vicino al fiume. Nessun cosacco era venuto a turbare la loro quiete; chissà, forse contemplavano la confusione e l'orrore del ghetto come a teatro, con quel piccolo brivido superficiale che coglie lo spettatore di un dramma, subito rasserenato da una confortante certezza: "A me questo non succederà mai. Mai.

brano tratto da pagina 146/147:
"E come donna," chiese Harry continuando ad accarezzare distrattamente i capelli della moglie "come donna la trovi attraente?"
Laurence esitò, divisa tra un'istintiva avversione nei confronti di Ada e il desiderio di essere leale, il che le ispirò una giusta osservazione: 
"È difficile definirla una donna..."
"Si è vero, è proprio così!" esclamò a un tratto Harry. "Mi domandavo in che cosa fosse diversa dalle altre: non ha assolutamente nulla di femminile... Si direbbe una bambina... Tu cara Laurence, se domani naufragassi su un'isola deserta, passato il primo momento di sconforto, andresti in cerca di piume e conchiglie per farti bella - e lo faresti per me, se io fossi con te, o in memoria, se fossi morto".
"Certo. E per fortuna!" replicò Laurence. "Queste ragazze, queste straniere, non hanno né civetteria, né senno, né cuore".
"Tu dici, mia cara?".
"Ambizione, quella si" continuò Laurence con un insolito accento di irritazione. "Ha una specie di modestia, fondata sull'insolenza che trovo insopportabile".
Harry la respinse leggermente e prese una sigaretta, accendendola con applicazione.
"Non credo" disse infine "che questa modestia sia del tutto finta. Io ci vedo più che altro una profonda sfiducia in sé stessa e nel prossimo".
"Perché siducia? La riceviamo, la trattiamo da pari a pari. Perché meritiamo la sua sfiducia? È ingiusto".
"Non bisogna dimenticare le particolari condizioni della sua vita... La povertà, la solitudine e insieme la consapevolezza di essere, se non al di sopra degli altri, almeno su un piano diverso, che dà il talento a qualunque creatura abbia la sfortuna di esserne dotata. Io vorrei aiutarla, Laurence. Occorrerebbe farla conoscere. Una sera dovremmo dare un piccolo ricevimento in suo onore".
"Qui?" chiese la moglie guardandolo.
"Certo, qui".


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